Bokmål e Nynorsk: le due lingue ufficiali (e politiche) della Norvegia

L’Italia non è l’unico Paese con una incredibile varietà di dialetti: anche in Norvegia la lingua cambia a seconda delle città e delle zone. Questa grande quantità di idiomi è stata riassunta, a livello istituzionale, dai due norvegesi ufficiali del Paese: Bokmål (che noi potremmo rendere come Koiné, ma letteralmente è “lingua del libro”) e Nynorsk (“Nuovo Norvegese” o “Neonorvegese”). Due lingue diverse, prima di tutto per diffusione, ma anche per valore artistico e persino politico!

In questo articolo non si conta un’altra grande fetta linguistica della Norvegia, ovvero quella del Sapmi, la lingua parlata dalle popolazioni Sami: nessuna di loro viene riconosciuta come lingua ufficiale, e del resto i Sami stessi, pur avendo oggi in larga parte nomi e cognomi norvegesi, sono un popolo diverso a livello etnico e culturale.

 Quali sono le differenze tra Bokmål e Nynorsk?

Bokmål e Nynorsk, come detto, sono le due lingue ufficiali del Regno di Norvegia: tuttavia, non si tratta di due vere e proprie lingue con dei caratteri distinti, ma nella sostanza rappresentano due varianti diverse di forma scritta del norvegese. Anzi, a conti fatti, nessuno in Norvegia parla letteralmente Bokmål e Nynorsk, in quanto – come si anticipava – ognuno si esprime nel dialetto della sua zona, più vicino al Bokmål per quanto riguarda i dialetti orientali, e più vicino al Nynorsk per quanto riguarda i dialetti occidentali.

Tutte queste varietà dialettali cambiano soprattutto per quanto riguarda l’accento, e ciò rappresenta una delle difficoltà principali per gli stranieri che scelgono di imparare il norvegese (di solito, si studia il Bokmål, che delle due è la “istituzionale” più diffusa). Basti pensare che la parola bibliotek (biblioteca) può essere pronunciata con l’accento sulla prima sillaba, bibliotek, oppure “alla danese”, e quindi con accento sull’ultima sillaba, bibliotek; o ancora, ai tanti modi diversi in cui in norvegese viene detto il pronome personale “io”: jeg (ufficiale), eg, ej, ek, e, je, æ, jæ.

Bokmål e Nynorsk

Queste sono, sostanzialmente, anche le differenze tra Bokmål e Nynorsk: il primo, basato come detto sui dialetti orientali, ha un’impostazione più classica e prende la sua forma dal danese. Il secondo, creato in seguito, nel Novecento, ha voluto invece cercare di includere il maggior numero possibile di varietà dialettali, e per questo motivo si discosta dalla Koiné e assume forme più complesse e, se vogliamo, complicato. Per esempio, in Nynorsk sono presenti e obbligatori i tre generi grammaticali (Maschile, Femminile e Neutro) che sono invece facoltativi in bokmål (in quanto sono assenti in danese): di conseguenza, in Bokmål alcune parole possono essere, a scelta, declinate sia in maschile che in femminile (Boken e Boka, versione maschile e femminile di Bok, “libro”; altre invece, come luna, sono solo maschili). Il Nynorsk ha, inoltre, una forte proliferazione di dittonghi: per esempio, “sognare” si dice Drømme in Bokmål (identico al danese) ma Drøyme in Nynorsk.

Una storia linguistica complessa

Come in qualsiasi altro paese, la storia della lingua norvegese è strettamente legata al destino della Norvegia nei secoli. Per cercare di essere più chiari, torniamo a prendere l’Italia come esempio. Si è detto che il nostro Paese rappresenta un’enorme quantità di dialetti diversi, molti dei quali con forte valore linguistico e una propria letteratura (Siciliano, Napoletano, Milanese, Romanesco) perché per mille anni, dalla Caduta di Roma all’Unità d’Italia, salvo brevi eccezioni poco significative linguisticamente, non è esistita una sola Italia, ma i Comuni, poi Signorie, poi Stati Regionali erano indipendenti, e ognuno aveva come Lingua Ufficiale non l’italiano, bensì il dialetto regionale unito, in alcuni casi, alla lingue del dominatore straniero, e spesso anche al latino.

Anche la Norvegia ha avuto la sua indipendenza e unità molto di recente, più recente anche dell’Italia, visto che si separa dalla Svezia nel 1905. Ma il legame con la Svezia è stato molto celere: per oltre 4 secoli, infatti, l’odierna potenza petrolifera è stata una provincia della Danimarca, per cui per oltre 4 secoli la lingua ufficiale è stata il danese. I due regni, legati prima di tutto con l’Unione di Kalmar voluta da Margrete I di Danimarca, divennero definitivamente un unico Regno nel 1537, anno di dissoluzione dell’Unione e della nascita del Regno di Danimarca-Norvegia, che però come l’Unione di Kalmar pendeva decisamente a favore della piccola e più meridionale Monarchia. Ci troviamo quindi nel pieno della Riforma Luterana, nonché nel pieno dell’evoluzione del norvegese moderno: uno dei primi effetti dell’imposizione del danese in Norvegia è che la Bibbia Luterana fu distribuita nelle case dei norvegesi tradotta in danese, e mai in norvegese.

La diffusione dell’idioma danese fu inoltre favorita dalla grande somiglianza tra le due lingue (molte parole sono scritte in modo identico, solo pronunciate diversamente). Se, però, il danese si diffonde a livello ufficiale e istituzionale, e soprattutto scritto, non riesce mai a imporsi del tutto: stiamo parlando di quello che fino al 1969 era il Paese più povero e arretrato d’Europa, e soprattutto in età moderna con un alto tasso di analfabetismo. Anche qui ci sono somiglianze con il Bel Paese: la popolazione, che non studiava e che era composta per lo più da poveri pescatori, non sapeva leggere, per cui non assorbì il danese nel parlato, continuando a esprimersi nel proprio dialetto, molto saldo e poco incline a subire le influenze della lingua di Danimarca.

Qui si viene a creare una situazione molto simile a quella dell’antico latino, ovvero una distinzione tra Lingua scritta e lingua parlata (il Volgare, da cui sono nate tutte le lingue neolatine moderne). In Norvegia come nell’antica Roma è una distinzione soprattutto tra città e campagna: chi vive nelle città (Oslo, Bergen e Trondheim) appartiene, in quel periodo, alle classi sociali più colte, e quindi frequenta maggiormente la lingua scritta, un norvegese danesizzato (sia a livello di lessico che di pronuncia), mentre gli illetterati vivono nei centri rurali, molto isolati in Norvegia a causa della morfologia territoriale e quindi meno soggetti alle influenze provenienti dalla Danimarca e dal danese. Tanto per capire, il maggiore drammaturgo norvegese, Henrik Ibsen, scrisse le sue opere in danese – anche se le ultime opere, come Et Dukkehjem “Casa di Bambola”, hanno un lessico e uno stile più norvegesi.

La nascita di Bokmål e Nynorsk

La definitiva affermazione di una lingua ufficiale si ha nel 1814: questo è l’anno in cui la Norvegia si separa dalla Danimarca e, seppur per un periodo brevissimo, ottiene l’indipendenza. In questo periodo, le autorità stilarono una Costituzione che scrissero in una lingua chiamata norvegese, ma in realtà di fatto una sorta di variante dialettale del danese, segno di quanto ormai l’idioma fosse radicato. Questi motivi – uniti al fatto che ci troviamo nel primo Ottocento, periodo del Romanticismo e della nascita delle Nazioni (Italia, Grecia, Germania: nascono tutte in questo Secolo) – spingono a sviluppare una vera e propria lingua norvegese.

Ne conseguono due fazioni: la prima è quella del bokmål (prima chiamato Riksmål “lingua del regno”), la quale spinge per una norvegesizzazione del danese scritto, ovvero l’accostamento al danese di forme ed espressioni tipiche del danese parlato. La seconda invece è quella che vuole creare una nuova lingua da zero, basata interamente sui dialetti norvegesi e che sia in continuità con l’antico norreno, quella che appunto oggi conosciamo come Nynorsk. Due fazioni, Bokmål e Nynorsk, che sono ancora una volta espressione delle Due Norvegie. Quella dei letterati, guidati dal poeta Henrik Wergeland (che appunto spinge per il bokmål, su modello della lingua di Ibsen); e quella invece degli illetterati, delle zone rurali, guidati da Ivar Aasen. Una competizione che si fa molto accesa, e che ha termine solamente a fine secolo, quando il governo Norvegese riconosce parità tra le due forme.

Quanti parlano Bokmål e Nynorsk

La parità è però solamente istituzionale, perché i dati di diffusione di Bokmål e Nynorsk parlano molto chiaro, e sono decisamente impari: il Bokmål – il norvegese che si basa sul danese – viene parlato da più o meno l’85-90% della popolazione, mentre il Nynorsk da appena il 15. Questa è la dimostrazione di come la lingua sia una questione estremamente naturale e spontanea: i norvegesi del resto hanno sempre vissuto in maggioranza nelle città, trattandosi di un Paese con una densità abitativa molto irregolare, per via del suo clima (che ha sempre fatto spingere per la zona meridionale) e della sua conformazione. Una lingua creata da zero, e per di più in tempi così recenti, fatica a imporsi: ancora una volta viene naturale il paragone con il latino Classico, nettamente separato da quello Volgare in continua evoluzione (Dante lo considerava una lingua artificiale, e non il “genitore” della sua); e con l’italiano, in particolare con il tentativo fallimentare del governo fascista di obbligare la popolazione a parlarlo – senza attuare una vera politica scolastica – e a sostituire termini di importazione straniera con equivalenti italiani, nonostante quei termini fossero ormai ampiamente diffusi ed entrati nell’immaginario.

Bokmål e Nynorsk
Copertina norvegese di Elena Ferrante

Tornando alla Norvegia, è interessante concludere l’articolo con la connotazione politica di Bokmål e Nynorsk: la scelta di una o dell’altra lingua è, infatti, spesso segno delle preferenze culturali e politiche di chi la parla.  Va da sé che chi sceglie di esprimersi in Nynorsk vuole dimostrare un forte interesse per le tradizioni locali norvegesi, ma in alcuni casi diventa una preferenza polemica, per manifestare insofferenza verso il bokmål, considerato la lingua del potere, e la lingua di Oslo, la Capitale. Al contrario, il Bokmål può avere connotazioni molto conservative, ed esprimere persino l’appartenenza a destra: c’è chi esclude ogni dittongo nei sostantivi, esprimendo quindi un’adesione a una lingua “più danese” e spesso un’appartenenza a classi sociali molto alte.

Il Nynorsk è inoltre considerato più poetico del bokmål, e non a caso è in Nynorsk che scrivono i poeti più importanti della Norvegia. Ci sono addirittura case editrici, come Samlaget, che pubblicano solamente in Nynorsk, traducendo in Neonorvegese anche la letteratura straniera: Elena Ferrante, in Norvegia, viene letta solamente in Nynorsk.

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