Danimarca sempre più green: niente più concessioni per la ricerca di petrolio

Danimarca

Per chi non lo sapesse, la Danimarca è il primo produttore di petrolio dell’Unione Europea, e il terzo di tutto il Vecchio Continente, dopo Regno Unito e Norvegia. Ma a differenza di tutti gli altri produttori di petrolio, da almeno 30 anni ha iniziato a diversificare la sua economia, puntando sull’energia rinnovabile: ecco perché la piccola e antichissima monarchia oggi può permettersi di vietare nuove concessioni per la ricerca di giacimenti di petrolio  e gas naturale nel Mare del Nord da lei controllato. Una scelta che ha una direzione ben chiara: raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

La misura drastica della Danimarca

Le concessioni, fatta da un Paese produttore di greggio come è appunto la monarchia scandinava, permettono alle aziende di cercare e produrre petrolio e gas naturale. Come detto, la Danimarca ha vietato nuove concessioni, mentre quelle emesse finora rimarranno valide fino al 2050.

Si tratta, forse, della misura più drastica approvata da un paese produttore di greggio, e non uno qualunque considerando l’importanza che ha la Danimarca nella produzione del petrolio. Ma la direzione danese è molto chiara e, stando a quanto dichiarato da Dan Jorgensen – Ministro dell’Ambiente – l’obiettivo è quello di mettere fine all’era dei combustibili fossili.

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Una decisione non da poco, e destinata ad accelerare il cambiamento dell’economia danese, da anni improntato sul rinnovabile. Attualmente, in Danimarca ci sono 55 piattaforme estrattive e 20 giacimenti di gas e petrolio, e solo nel 2020 ha prodotto una media di 100 barili al giorno. Sono dati non da poco, perché la produzione del greggio ha un’importanza cruciale nell’economia del Paese: nel 2019, infatti, rappresentava l’1,1% del PIL,  e la rinuncia rappresenterà un costo di 13 miliardi di corone danesi (1,75 miliardi di euro).

Tutto tranquillo, però: l’importanza c’è, ma non rappresenta il cuore dell’economia della Danimarca. Lo dimostra anche la crisi del coronavirus, che in Danimarca, pur essendo grave, ha avuto effetti meno disastrosi rispetto ad altri Paesi europei, come la Germania o l’Italia, e soprattutto non è stata travolta dalla vertiginosa discesa del costo del petrolio, come invece accaduto ad economie ad esso strettamente collegati, quali Nigeria e Iraq. Nel terzo trimestre del 2020, la l’economia danese si è contratta del 4% rispetto allo stesso periodo del 2019.

L’impegno danese potrebbe essere un esempio agli altri

Nulla di nuovo all’orizzonte: sappiamo bene che la Danimarca è fortemente impegnata nella lotta al cambiamento climatico, più di tutti gli altri Paesi Scandinavi, comprese Svezia e Norvegia. Nel 1990, si impegnò a ridurre le emissioni di gas serra del 70% entro il 2030, e sempre nello stesso periodo fu tra i primi Paesi a sfruttare l’energia eolica. Non a caso è danese l’azienda Ørsted, il più grande produttore di parchi eolici in mare aperto (tra cui quello che circonda Copenhagen, sullo stretto di Øresund); e sempre danese è la Vestas Wind Systems AS, azienda che produce turbine eoliche.

Altri esempi del suo impegno li conosciamo bene: Copenhagen vuole essere la prima città al mondo a emissioni 0 entro il 2025, obiettivo fortemente sentito se consideriamo che il traffico della capitale danese è costituito da più biciclette che automobili. Inoltre, con l’Inceneritore di Copenhagen, la Danimarca ha prodotto uno dei primi, se non il primo, termovalorizzatore ecologico, sul quale sono sorte passeggiate, ristoranti e una pista da sci. Questi numeri, uniti ai pochi abitanti, alle città piccole, sono già indicativi del vero grande obiettivo danese: la neutralità climatica entro il 2050.

Intendiamoci, la Danimarca non è l’unica: Regno Unito e Francia hanno lo stesso obiettivo per lo stesso anno, e la Cina ha fissato il termine 10 anni dopo. Ma la Danimarca, bloccando la ricerca di nuovi giacimenti, ha fatto una mossa senza precedenti che potrebbe essere presa in considerazione anche da altri Paesi. Per esempio, nell’Unione Europea il secondo produttore è proprio l’Italia, che potrebbe cogliere l’occasione per continuare a sviluppare le infrastrutture di energia sostenibile, da cui grazie al clima potrebbe ricevere non poche soddisfazioni e rilanciare la sua economia. Ma come lei potrebbe fare in primis la Norvegia, che invece nonostante gli sforzi ha ancora un’economia molto incentrata sul petrolio.

Sia chiaro, non sono decisioni senza conseguenze per il lavoro. La decisione danese costerà 4000 posti di lavoro, tutti nella parte occidentale della Danimarca. Anche se le istituzioni hanno già annunciato nuove opportunità nel settore dell’energia eolica, ma anche la necessità di manodopera per immagazzinare le emissioni.

Insomma, vedremo come si evolverà la situazione. Ma, comunque, rimane una decisione davvero molto importante!

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