L’Effetto Finlandia: come la piccola Repubblica ha sventato un’enorme crisi

Effetto Finlandia

“Crisi” è la parola che sentiamo di più, ultimamente. Dagli anni Novanta ad oggi, in Italia e nel mondo, non c’è stato decennio privo di crisi economica, che ha visto la perdita di innumerevoli posti di lavoro, l’aumento della povertà e tutti gli altri effetti sociali che crisi così grandi, e così frequenti, comportano: dalla crisi che ha colpito molti paesi europei nell’ultimo decennio del XX secolo, alla “Grande Recessione” del 2008-2013 – con collasso di Irlanda, Islanda e Grecia – fino alla crisi attuale, ad appena 5 anni dalla fine di quella scoppiata nel 2008, dovuta al coronavirus. In tutte queste difficoltà, più spesso si è parlato di un esempio virtuoso da tenere bene a considerazione: “l’effetto Finlandia”.

La Repubblica Finlandese ha, infatti, nel 1993 e nel 2008, conosciuto due crisi di entità gravissima, che in entrambi i casi hanno visto sull’orlo del fallimento la sua economia e l’intera Nazione. Eppure, in questo Paese delle dimensioni dell’Italia, ma molto meno popolato, sono riusciti a risollevare la loro economia, al punto che i maggiori economisti in tutti i casi si auspicano che anche altri Paesi in difficoltà decidano di puntare sulle stesse misure intraprese dai finlandesi. Cerchiamo, quindi, di capire, perché Helsinki è un esempio virtuoso.

L’Effetto Finlandia in senso negativo

La più grave crisi che i finlandesi ricordino molto probabilmente non è quella del 2008, ma quella ben più grave (per loro) de 1993. Come tutta l’Europa, la Finlandia conobbe negli anni Ottanta un decennio molto felice, e alla fine di quegli anni si ritrovava con un’economia in forte crescita e una disoccupazione ai minimi storici, al 2,1% nell’estate del 1989. Soprattutto nella seconda metà del decennio (1985-1989), si era visto un aumento di tre volte della capitalizzazione del mercato azionario, e un raddoppio del valore del mercato immobiliare; inoltre, una legge bancaria del 1986, consentì alle aziende finlandesi di essere finanziate da banche straniere, in modo da avere maggiore competitività e quindi di ridurre i tassi al minimo.

Per questo motivo, nel 1986 la Finlandia entrò nell’Associazione Europea di Libero Scambio (EFTA) anche se ancora rimaneva fuori dal’Unione Europea. Insomma, la Finlandia viveva un boom economico molto sostenuto, paragonabile a quello Italiano e Tedesco degli anni Sessanta, e la percezione generale – anche grazie al boom del credito al consumo, che quasi raddoppiava ogni anno – era che c’erano tutte le carte in regola per rimanere su quei ritmi di crescita.

Ma il primo “effetto Finlandia” si vide già in quegli anni, perché gli effetti negativi di una crescita così smisurata e incontrollata si verificano nell’immediato, anche se la popolazione non se ne accorge. Per esempio, crebbe il tasso di inflazione, arrivando dal 2% del 1986 al 7% del 1989. Ma soprattutto, il boom economico fu arrestato prima dalla recessione dell’Unione Sovietica, e poi dal definitivo sgretolamento dell’URSS. Con i Russi, infatti, la Finlandia anche dopo l’indipendenza aveva mantenuto i rapporti commerciali, e aveva mantenuto i rapporti commerciali principali: infatti, per un lungo periodo le esportazioni finlandesi verso la superpotenza eurasiatica rappresentavano il 20% del totale. È facile immaginare, quindi, come questa enorme fetta di esportazione fu polverizzata con il crollo dell’Unione Sovietica.

La crisi delle banche finlandesi dopo il crollo dell’URSS

La Finlandia è un Paese piccolo, e con un’economia particolarmente vulnerabile. Specialmente in quei tempi quando, come detto, l’economia era fortemente e più legata ai Russi che, per esempio, alla Scandinavia o all’area mediterranea.

Per combattere l’inflazione, il governo finlandese in carica in quel periodo decise di seguire “la condotta europea”: collegò il tasso di sconto alla Bundesbank tedesca, con tassi a breve che toccarono il 12% nel 1992. Questo permise di portare l’inflazione allo 0% nel 1994, anche se risalì in fretta, superando il 2%. Questa riforma violenta e inaspettata causò lo scoppio della bolla del mercato delle azioni e del credito facili. Il governo optò per una svalutazione competitiva del Markka (la vecchia moneta finlandese), ma questo non impedì al Paese di cadere in una recessione gravissima che causò un aumento della disoccupazione fino al 20% della popolazione, nel 1994.

Oltre a questo, si aggiunse una crisi bancaria causata dall’insolvenza della Skopbank, la quale venne nazionalizzata dalla Banca Centrale di Finlandia in modo da risanarla; per poter evitare il totale dissesto del sistema bancario finlandese, fu spesa una somma equivalente a 8,4  miliardi di euro. A concludere questa serie di sventure ci pensarono le industrie cartiere in difficoltà per via dell’alto costo dei prodotti finlandesi sul mercato internazionale voluto dalla Banca Centrale Finlandese per combattere l’inflazione.

I “giapponesi d’Europa” e la Nokia Economy: gli ingredienti dell’Effetto Finlandia

È facilmente intuibile cosa rappresentò, per molti finlandesi, il biennio 1993-1994, la cui crisi viene molto bene raccontata nel romanzo “Aadam ed Eeva” di Arto Paasilinna – di cui parleremo anche su questo sito.  La popolazione, comunque, non si diede per vinta: i finlandesi sono spesso chiamati i giapponesi d’Europa, per via della loro forte vocazione al lavoro che li accomuna con gli abitanti del Sol Levante.

Nonostante un debito pubblico che passò dal 15 al 60% del PIL nella  metà degli anni Novanta, un taglio del 10% della spesa pubblica, la vocazione e la creatività lavorativa dei finlandesi, nonché l’inizio della Nokia Economy, furono alla base dell’Effetto Finlandia. Durante la Crisi, la Finlandia iniziò il suo iter per entrare nell’Unione Europea, culminato con il referendum del 1994 che vide il 57% dei finlandesi votare a favore dell’ingresso: il 1 Gennaio 1995, insieme alla Svezia e all’Austria, la Repubblica finnica era parte dell’UE.

Effetto Finlandia

Gli anni seguenti, il PIL tornò a crescere anche del 4% all’anno, mentre le esportazioni videro un aumento del 250% nel decennio 1990-2000. I Finlandesi furono attenti a non ripetere gli errori degli anni Ottanta: la nuova crescita, infatti, era basata sulle nuove industrie e non più sulla finanza. Nokia, che proprio in quegli anni esordiva come “potenza industriale” nel nuovo settore del momento (quello dei cellulari) fu il simbolo della rinascita della Finlandia e della sua transizione economica – e il suo epilogo poco lusinghiero sarà il simbolo della crisi della prima metà degli anni 2010.

La Finlandia – unica in tutta la Scandinavia – scelse anche di aderire all’euro. La moneta unica, permise di stabilizzare il settore bancario del Paese, salvando la Finlandia dalle oscillazioni del mercato dei cambi.

Come l’Effetto Finlandia ha contenuto la crisi del 2008

Queste misure, che hanno notevolmente cambiato l’economia finlandese e dato vita all’Effetto Finlandia, hanno permesso di contenere i danni nella crisi del 2008, che infatti per i Finlandesi è stata meno grave che altrove. Ciò non significa che non sia stata sentita, anche per i motivi già citati che hanno visto la fine di Nokia come azienda leader nel suo settore. Nonostante le critiche e i paragoni insensati con la Svezia – la Svezia, con la sua corona, nel 2013 cresceva, mentre la Finlandia no – il passaggio all’euro, più forte del debole marco finlandese, ha permesso comunque sia di contenere la disoccupazione (che al 2013 era al 7%) sia il debito pubblico, che in tutti gli anni più gravi della crisi è sempre rimasto sotto il 60%, e quindi nei parametri di Maastricht per merito di politiche di bilancio molto scrupolose e attente.

Inoltre, la scelta di privatizzare le imprese statali dal 1995 al 2003 ha consentito alla Finlandia di “mettere da parte qualcosa” che quindi ha lasciato sano il bilancio pubblico. Come si può notare, quindi, l’Effetto Finlandia, dopo la “lezione” imparata in seguito alla crescita smisurata e incontrollata, ha permesso di contenere i danni della crisi del 2008. Crisi che si è comunque sentita, soprattutto perché Nokia perso la sua importanza, non essendo riuscita a rimanere al passo coi tempi che, in quel settore, cambiano velocemente, venendo malvestita e poi venduta a Microsoft.

E nonostante la crescita finlandese negli ultimi anni sia stata più lenta alla vicina Svezia – e non certo perché la Svezia può svalutare la corona svedese a suo piacimento – la Finlandia non è rientrata in quei Paesi, come per esempio l’Islanda (altra Nazione priva dell’euro), che hanno visto la loro economia crollare. La Finlandia non ha più fatto l’errore di legarsi a un solo mercato, e soprattutto ha aperto non solo al mercato scandinavo-baltico, ma a quello mediterraneo e globale. Le sue politiche di contenimento dei danni, la dedizione e serietà dei finlandesi, sono tuttora monito per gli altri Paesi europei ad attuare politiche e misure sensate e concrete per il contenimento dei danni di una crisi mai del tutto sparita e ora di nuovo grave.

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