Evoluzione della Costituzione islandese: dalla tradizione millenaria al digitale

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La Repubblica d’Islanda (Lýðveldið Ísland) ha una Costituzione monotestuale che è in vigore dall’ottenimento dell’indipendenza nel 1944. Inizialmente e formalmente una repubblica semipresidenziale, oggi si può dire che abbia de facto una forma di governo parlamentare.

Una tradizione parlamentare millenaria

Nonostante sia stata per secoli sotto il dominio della Corona danese, considerata parte integrante e indistinta dei territori della Norvegia, insieme a Groenlandia e Isole Faroe, l’Islanda ha una tradizione parlamentare millenaria. L’origine dell’Alþingi, il Parlamento islandese, viene fatta risalire ad un’assemblea che si riuniva già a partire dal X secolo.

Questa tradizione è stata formalmente interrotta solo dal periodo dell’assolutismo danese e proprio dopo la fine di questo periodo ha iniziato a svilupparsi un ordinamento costituzionale islandese.

Nel 1849 gli Islandesi si rifiutarono di riconoscere la Costituzione danese appena introdotta, dopo la fine del periodo autocratico del monarca e iniziarono a richiedere una propria costituzione, con addirittura la convocazione di un’Assemblea costituente nel 1851, le cui richieste furono tutte rifiutate dalla Danimarca.

La prima legge costituzionale islandese fu introdotta solo nel 1874 per decisione unilateralmente di Re Cristiano IX. Questo testo restaurava il potere legislativo del millenario Parlamento islandese (Alþingi). Da questo momento l’Islanda riuscì progressivamente a ottenere sempre più potere e autonomia dalla Danimarca, tra cui nel 1904 un Ministro dell’Islanda nominato dal Re, ma responsabile davanti all’Alþingi (introducendo quindi un principio di governo parlamentare), fino al riconoscimento della propria sovranità e di uno status parificato alla Danimarca nell’unione personale del Re nel 1918, seguita poi dall’adozione della Costituzione del Regno di Islanda del 1920.

L’unione fu rotta durante la Seconda guerra mondiale, quando le truppe tedesche invasero la Danimarca e in risposta prima gli Inglesi e poi gli Statunitensi occuparono l’Islanda, fino al referendum sull’indipendenza nel 1944.

L’indipendenza e la democrazia islandese

Nel giugno del 1944 fu, quindi, introdotta l’attuale Costituzione (Stjórnarskrá lýðveldisins Íslands). In realtà non era altro che la Costituzione del 1920 con poche modifiche, quelle necessarie a trasformare la monarchia in una repubblica. Il Re veniva sostituito da un presidente eletto, che ne convervava quasi tutte le prerogative. Si dava così vita a una forma di governo semipresidenziale, con una soluzione simile a quanto avvenuto in Finlandia nel 1918.

La Costituzione islandese

Tuttora leggendo il testo della Costituzione islandese si potrebbe pensare che il Presidente della Repubblica abbia molti compiti e un ruolo politico particolarmente attivo, ma nella realtà la figura politicamente più rilevante è il Primo ministro. Si ritrova così una divergenza tra testo formale e la consuetudine politica, così come avviene anche in Danimarca e Norvegia. Va sottolineato, però, che l’art.1 della Costituzione islandese riporta già esplicitamente che la forma di governo è parlamentare.

Bessastaðir, la residenza ufficiale del Presidente della Repubblica islandese

Il Presidente islandese, eletto direttamente dai cittadini ogni quattro anni, formalmente nomina e rimuove il Primo ministro e gli altri Ministri. Presiede il Consiglio di Stato, composto dagli stessi Ministri e a cui viene sottoposta la legislazione e gli atti governativi di particolare importanza. Generalmente, però, il Presidente non partecipa alla politica e all’amministrazione quotidiana. Ha un potere di veto sull’approvazione delle leggi, ma che tradizionalmente non viene utilizzato. Finora è stato utilizzato solo tre volte nella storia, durante il periodo della crisi economica del 2008 in cui il Capo di Stato ha assunto un ruolo politico più attivo, per poi tornare alla prassi consolidata.

A svolgere effettivamente la funzione di governo sono il Primo ministro e i Ministri, che sono responsabili per tutti gli atti di esercizio del potere esecutivo (art. 14 della Costituzione), e sono legati da un rapporto di fiducia con l’Alþingi, che tramite un emendamento costituzionale dal 1991 è stato reso monocamerale.

L’aula dell’Alþingi, il Parlamento islandese

Il rapporto tra Parlamento e Governo è basato sui principi del parlamentarismo negativo, affermatosi come consuetudine costituzionale, visto che non ne troviamo riferimenti nel testo, ma a differenza degli altri Paesi nordici non ha una tradizione di governi di minoranza. Il Parlamento ha potere di impeachment sul Governo (art.14), ma il potere di indire nuove elezioni spetta formalmente al Presidente della Repubblica (art. 24).

Una nuova Costituzione grazie ai social

Tra il 2010 e il 2013 era stata elaborata da un’Assemblea costituente, composta da 25 membri eletti direttamente dai cittadini, una nuova Costituzione molto più razionalizzata e aderente alle consuetudini. Ad esempio, all’art. 86 veniva esplicitato che fosse il Gabinetto dei ministri l’esclusivo detentore del potere esecutivo e all’art.90 era descritto il processo di formazione del Governo.

Scritta da un’Assemblea costituente e approvata anche in un referendum consultivo dai cittadini, il progetto di Costituzione per entrare in vigore avrebbe dovuto essere sottoposta al voto dell’Alþingi, ma le elezioni parlamentari del 2013 portarono alla formazione di una maggioranza contraria alla nuova Costituzione, che così finì in un nulla di fatto.

Screenshot della piattaforma digitale utilizzata per scrivere il progetto di nuova Costituzione

L’elaborazione del progetto della nuova Costituzione islandese fu interessante anche per l’utilizzo di internet e dei social media da parte dell’Assemblea costituente per coinvolgere direttamente i cittadini nel processo di elaborazione del nuovo testo costituzionale. Questo “costituzionalismo sociale”, sviluppato tramite l’utilizzo di nuove tecnologie e media, fu una risposta alla mancanza di fiducia nel sistema politico dovuto alla crisi economica che stava vivendo il Paese e agli scandali di corruzione legati al fallimento delle tre principali banche nazionali.

L’uso degli strumenti digitali ha permesso così di aumentare la trasparenza del processo e di coinvolgere i cittadini in un processo democratico, in un’epoca come quella attuale in cui la partecipazione democratica è sempre minore.

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