Il cinema tetro e disturbante di Lars Von Trier

Lars Von Trier

C’è chi lo definisce catartico, quella sensazione definita Catarsi da Aristotele (κάθαρσις, nella Poetica del celebre filosofo greco antico) e che indica la “purificazione” dello spettatore dopo aver assistito a una tragedia greca e alle sue terribili e violente vicende. E del resto, Lars Von Trier è per il cinema danese e globale ciò che i drammaturghi furono per la letteratura classica: la rappresentazione di un cinismo praticamente unico, sfiducia nell’umanità. Con la differenza, qui, che la messa in scena è “alla latina”, considerando che i greci non rappresentavano mai i momenti violenti, “parafrasandoli” e raccontandoli in altre scene, mentre i romani – lo sappiamo – avevano un grande gusto del macabro.

Comunque, l’archetipo della tragedia, i meccanismi di rappresentazione e mimesi delle tragedie greche non sono mai tramontate, e non è solo il cinema di Von Trier a dimostrarlo. Tuttavia, lui è uno di quelli che meglio riesce a rappresentare le sensazioni più spiacevoli, il disagio e l’inappropriatezza tipici della tragedia e non a caso è oggi uno dei registi più criticati e divisivi – più o meno come lo fu Hitchcock ai suoi tempi. Un esempio? La sua ultima fatica, The House That Jack Built (in italiano, “La Casa di Jack”) in Italia è stato vietato ai minori di 18 anni, ed è stata rilasciata anche una versione tagliata per i cuori più deboli.

Il vissuto di Lars Von Trier

Non serve molto per capire questa perenne sensazione di disagio ed estraniamento presente in ogni opera di Lars Von Trier: lui stesso ha una storia particolare piuttosto difficile, e per molti aspetti non sembra la persona migliore con cui avere a che fare. Soprattutto se sei una donna: è stato infatti al centro del movimento MeToo, quando la cantante islandese Björk in persona ha dichiarato di essere stata da lui più volte molestata durante le riprese del film Dancer in the Dark (2000), in cui Björk era la protagonista. Molestie che lui ha negato, dichiarando che tra loro c’era un rapporto di grandissima amicizia, e che la cantante ha rincarato.

Lars Von Trier
Dancer in The Dark, con Björk

Andando ancora più nel profondo, notiamo come soprattutto guardando le sue interviste pare essere caratterizzato da molti dei tratti emotivi che rappresenta così bene: cresciuto da genitori un po’ stravaganti, nudisti e favorevoli a un’educazione fin troppo liberale, da adulto scopre, da sua madre in punto di morte, di essere figlio illegittimo di un uomo appositamente scelto da lei “per i suoi geni da artista”. Insomma, una vita con pochi elementi riconducibili alla “normalità” accettata dalla società. Diverse sono anche le sue paure: prima di tutto quella di volare (non si sposta mai in aereo); ma c’è anche l’ipocondria e soprattutto la depressione, che lo rendono incline a uscite perfette per mantenerlo al centro dell’attenzione, ma non in modo positivo (una volta, pre provocare i giornalisti, si definì nazista e fece discorsi contro Israele). E lui stesso ammette la natura provocatoria di queste uscite, paragonandosi a Dante: è l’Inferno dantesco ad affascinarci, con i suoi personaggi variopinti ed appassionati; non lo statico, mistico e incomprensibile paradiso.

La poetica dei dogmi

Lars Von Trier è divenuto noto fin da subito per il suo stile perverso e tetro. Ma è divenuto noto insieme ad un altro regista danese, Thomas Vinterberg, con il quale nel 1995 aveva fondato un collettivo chiamato Dogme95. Un cinema nato per non conformarsi all’industria di Hollywood, colpevole di un “eccesso di spettacolo”, ma per essere onesto, per rinunciare all’industria di massa e all’intrattenimento che frutta miliardi tipicamente americano, per proporre qualcosa di tipicamente europeo, più profondo, significativo e tutto votato all’arte.

Dogme95 non si chiama così a caso. Oltre a questo intento, c’è anche un insieme di regole (10, per la precisione) che il regista deve seguire per riuscire a realizzare questi obiettivi di “anti-americanità”: quindi uso massiccio della camera a mano, luci artificiali, assenza di colonna sonora e di scenografia prestabilita. Regole che poi sono state liberamente interpretate, ma che comunque rimangono ben visibili nelle produzioni sia di Lars Von Trier sia di Thomas Vinterberg, e degli altri registi che hanno aderito al collettivo – sono in molti a “lamentarsi” dopo i film di Trier, non solo per il disgusto e il fastidio, ma anche per il senso di nausea dovuto ai movimenti naturali e mossi della sua camera a mano.

Lars Von Trier
“Antichrist” (2009)

La ricerca di “onestà” del cinema di Lars Von Trier e della Dogme95 è un po’ un’eredità delle grandi correnti europee del Novecento, ma anche del teatro epico di Brecht (che volutamente faceva provare allo spettatore un senso di straniamento rispetto a quanto rappresentato), o ancora se vogliamo del dramma borghese del drammaturgo svedese August Strindberg e del norvegese Henrik Ibsen. Per esempio, il suo film Dogville del 2003 presenta una scenografia scarna all’estremo, al punto che sembra unicamente costituita dagli attori che recitano.

Lars Von Trier e i disturbi mentali

Vista la sua personalità complessa, distorta, perversa, non stupisce la bravura del regista danese nel mettere in scena i disturbi mentali e le malattie (che lui conosce benissimo, e spesso vive in prima persona). Tutti i suoi film, in questo senso, vanno visti, anche se alcuni più di altri riescono a toccare alcuni punti particolarmente sensibili. Per esempio Melancholia, film del 2011 ispirato a un suo episodio di depressione – e per il quale Kristen Dunst, la protagonista, ha vinto il premio per la migliore interpretazione femminile – tratta il disturbo in maniera originale e unica, mai vista prima e mai ripetuta dopo, al punto che uno spettatore distratto o inesperto potrebbe non accorgersene. Non è infatti un film drammatico-fantascientifico di quelli alla 2012 o World War Z, che raffigurano disastri planetari pieni di azione. Melancholia si distingue per come Lars Von Trier sceglie di rappresentare due tipologie di persona, una sana e una affetta da depressione.

Lars Von Trier

Kristen Dunst, nella prima parte del film, viene colpita nel profondo da un evento che invece dovrebbe essere gioioso e “normale2, il suo matrimonio. Una crisi di cui nessuno si spiega il motivo, e che invece rappresenta al meglio la sensazione che vive che soffre di depressione: ritrovarsi in crisi, in panico, anche in eventi che normalmente sono di consuetudine e di normalità. Al contrario, quando si scopre che un pianeta si sta avvicinando alla terra minacciando di distruggerla, lei reagisce con una tetra pacatezza. Anche qui, ci troviamo di fronte al “modus operandi” – non è il termine corretto, ma ci perdonerete – di chi vive la depressione, e che ha reazioni opposte a quelle naturali (che prevedono sgomento, terrore) di fronte alla prospettiva di una vera e propria fine del mondo, terrore che vive la sorella di Justine (Kristen Dunst,) Claire (Charlotte Gainsbourg).

La morte di Ofelia

Il film, che è una coproduzione tra Danimarca, Svezia, Francia, Germania e Italia, è ricco di riferimenti culturali: si apre con il preludio a Tristano e Isotta di Wagner, ed è una continua citazione a Ofelia, la donna aristocratica danese dell’Hamlet di Shakespeare, a partire dalla locandina del film.

La morte nel cinema di Von Trier

La depressione di Melancholia, l’ipererotismo di Nymphomaniac (film poco apprezzato, in verità), e la morte del già citato ultimo lavoro uscito, The House That Jack Built. Qui, Lars Von Trier unisce la vita di un assassino seriale ossessivo compulsivo tutto attraverso il suo punto di vista e le sue sensazioni al tema da sempre tabù della morte. In ogni gesto così naturale del personaggio notiamo sempre il senso della morte, ma in un modo sempre diverso. Lars Von Trier rappresenta come oggi siamo sempre più lontani dalla morte, la vediamo come un’immagine lontana e qualcosa di diverso da noi, e lo fa in modo ironico e grottesco attraverso il rapporto tra il protagonista, completamente fuori dalla realtà, e il corpo straziato della sua vittima.

The House That Jack Built

Il protagonista congela i cadaveri delle vittime, in modo da renderli dei manichini, delle tetre sculture, riportando il senso della morte su un piano concreto e diverso dal destino mistico e lontano a cui tutti sappiamo che arriveremo. Inoltre, riporta in auge la sua battaglia contro gli Stati Uniti, facendo una loro caricatura, ironizzando i loro valori, dalla famiglia alla legittima difesa, spezzando il film con scene pittoriche, e spesso anche filosofiche che cuciono nell’insieme un film crudele e crudo. Un esempio? Quando il protagonista uccide una madre e i suoi figli senza alcuna pietà dopo averli portati a fare un picnic e trattandoli proprio come il tipico padre americano, seguendo quindi quegli stereotipi portati avanti negli anni da Hollywood.

Filmografia di Lars Von Trier

  • Forbrydelsens element (L’elemento del crimine) – 1984
  • Epidemic – 1987
  • Medea – 1988
  • Europa – 1991
  • Breaking the Waves – Dogme#1 (Le onde del destino) – 1996
  • Dogme#2: Idioterne (Idioti) – 1998
  • Dogme#3: Dancer in the Dark – 2000
  • Dogville – 2003
  • De fem benspænd (le cinque variazioni, Documentario) – 2003
  • Manderlay – 2005
  • Direktøren for det hele (Il grande capo) – 2006
  • Antichrist – 2009
  • Melancholia – 2011
  • Nymphomaniac – 2013
  • The House That Jack Built – 2018

Mediometraggi e Cortometraggi

  • Turen til Squashland (Il viaggio a Squashland) – 1967
  • Nat, skat (“Notte, amore”) – 1968
  • Et skakspil (“Una partita a scacchi”) – 1969
  • En røvsyg oplevelse (“Un’esperienza da stronzo”) – 1969
  • Hvorfor flygte fra det du ved du ikke kan flygte fra? Fordi du er en kujion (Perché scappare da ciò che sai di non poter fuggire? Perché sei un codardo) – 1970
  • En blomst (un fiore) – 1971
  • Orchidégartneren (Il giardino di orchidee) – 1977
  • Menthe – la bienheureuse (Mentre, il benedetto) – 1979
  • Nocturne – 1980
  • Den sidste detalje (l’ultimo dettaglio) – 1981
  • Befrielsesbilleder (Immagini di liberazione) – 1982
  • Occupations – 2007
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