L’alfabeto runico e le rune: il sistema di comunicazione degli antichi Nordici

Alfabeto runico

È ormai noto che le modalità di comunicazione degli antichi Scandinavi e, di conseguenza, degli antichi Germanici (e non solo) fossero le rune e l’alfabeto runico. Una tipologia di scrittura oggi scomparsa e che però ha lasciato non poche tracce nell’alfabeto latino riadattato dalle popolazioni scandinave nel tempo, soprattutto nella scrittura danese (e di conseguenza norvegese) e in quella islandese.

Quello che noi indichiamo come alfabeto runico a livello tecnico si chiama Futhark (scritto fuþark), dal nome dei primi sei segni di questa scrittura misteriosa:

  • Fehu
  • Uruz
  • Þurisaz
  • Ansuz
  • Rido
  • Kaunan

A livello storico, questo alfabeto è stato usato un po’ meno di un millennio: la più antica testimonianza runica di cui oggi siamo conoscenza risale al 150 a.C. – in piena epoca Romana – mentre l’ultima più o meno al 700 d.C. Questo periodo del resto corrisponde all’inizio della cristianizzazione delle popolazioni scandinave e nordiche in generale, per cui non deve stupire che questo alfabeto (usato solo in rare occasioni, come vedremo) sia stato sostituito con quello latino, contaminato però da alcune testimonianze dell’alfabeto runico: Ø, Å, þ e Ð/ð. Un tratto distintivo, quindi, dei popoli germanici e nella fattispecie di quelli scandinavi, diffuso secondo alcune teorie anche fino all’Ucraina, ma le cui origini sembrano di area mediterranea!

Le origini di rune e alfabeto runico

Ma come nasce questo particolare alfabeto? È ormai certo per runologi, filologi germanici e altri studiosi che questa lingua scritta fosse utilizzata in età molto antica nell’Italia predomina: l’alfabeto runico viene infatti ormai considerato come un’evoluzione dell’antico alfabeto italico, quell’alfabeto per lo più etrusco che ha condizionato fortemente anche quello latino (insieme al greco). Alcuni, invece, sostengono che l’alfabeto runico scandinavo debba le sue origini all’alfabeto retico delle zone dell’odierno Alto Adige e di Bolzano, caratterizzato da non pochi simboli attestati in seguito nell’alfabeto runico.

Pietra runica in Svezia

Tuttavia, la teoria maggiormente accettata è che le rune siano in realtà frutto dell’esportazione dell’alfabeto latino che i Romani esportarono in tutta Europa, anche in quelle zone che non riuscirono mai ad assoggettare, come appunto la Germania orientale e la Scandinavia. Sono, comunque, teorie tutte più o meno valide: l’incertezza relativa all’origine dell’alfabeto runico si deve del resto al fatto che le stesse rune hanno una simbologia metatestuale, il cui significato è molto più profondo e va oltre rispetto a quanto indicato dal simbolo fonetico.

Un significato magico

Le rune sono da collegare infatti alle pratiche magiche e religiose degli antichi Scandinavi. Non a caso, Odino è conosciuto anche come “Signore delle Rune”, e molto del loro significato lo dobbiamo ad un testo noto come Havamal, la seconda composizione dell’Edda, la celebre e mastodontica opera con tutte le principali saghe norreno. Nell’Havamal, testo completo di tutti i consigli di vita da parte di Odino per gli uomini, si parla anche delle rune, della loro scoperta e del loro potere magico e divinatorio.

Alfabeto runico
Pietre di Jelling, Syddanmark (Patrimonio UNESCO)

Odino, nella finzione del testo, si presenta come un grande esporto delle rune, e non potrebbe essere diversamente da colui che è insieme Padre degli Dei, signore di Asgardr, protettore dei viandanti e anche mago e divinatorio, e la sua stessa conoscenza dei significati dell’alfabeto runico e delle rune gli è costata un grande sacrificio. E un grande sacrificio serve per conoscere il significato di questi segni misteriosi. Nel caso del Signore di Asgardr, per ottenere questa conoscenza si autoimpiccò per nove giorni e nove notti sul grande albero cosmico chiamato Yggdrasill

“Lo so io, fui appeso

Al tronco sferzato dal vento

Per nove intere notti,

Ferito di lancia

E consegnato a Odino,

Io stesso a me stesso,

Su quell’albero

Che nessuno sa

Dove dalle radici s’innalzi”

“Veit ek, at ek hekk

Vindgameiði á

Nætr allar níu,

Geiri undaðr

Ok gefinn Óðni,

Sialfur sialfum mér,

á þeim meiði

Er manngi veit

Hvers af rótum renn”

(Hávamál – il Discorso di Hár)

Odino, sacrificandosi in questo modo a sé stesso (atto di grande potenza, che ricorda un po’ un altro Sacrificio, molto più noto e appartenente alla religione Cristiana, anche sei di ben altro significato), è divenuto il primo maestro runico, e così capace di determinare gli eventi a suo piacimento, prevedendo le trame del fato (senza però poterlo influire), e di conoscere ciò che avverrà. L’esempio più lampante è Ragnarök: Odino sa che accadrà, ma non può fare nulla per impedirlo. Anche se si è detto che questo autosacrificio può ricordare in parte il sacrificio di Cristo, esso è in realtà un probabile frutto dei contatti tra gli scandinavi e lo sciamassimo di lapponi e finnici, visto che la pratica è simile a molte loro usanze e rituali magici.

I segni dell’alfabeto runico

24 sono i segni che componevano l’alfabeto runico, e che rappresentavano le vocali e le consonanti delle lingue germaniche settentrionali (le lingue scandinave). Le rune si distinguono per una grafia molto rivale, spigolosa, lineare, dovuta al fatto che erano incise su tavolette di legno o pietra, e in generale in tavolette di materiali duri che quindi presentavano criticità per quanto riguarda segni curvi.

Come detto, la runa aveva sia significato fonetico che metatestuale. Una delle pietre runiche meglio conservate è quella di Jelling, cittadina nel Syddanmark (Danimarca meridionale), e patrimonio UNESCO dal 1994. Si tratta di due pietre runiche, in realtà, che risalgono al X secolo: la più antica du voluta dal re Gorm Den Gamle (Gorm Il Vecchio, il più celebre e leggendario re danese) in onore della moglie, mentre la seconda – che è anche la più famosa – fu fatta incidere da un altro sovrano leggendario, Harald Dente Azzurro, in onore del padre Gorm e della madre Thyra. Si tratta anche della pietra runica che celebra la conversione dei danesi (e dei norvegesi) al cristianesimo, visto che il suo testo recita:

“Harald Re fece fare stele codesta per Gorm padre suo e per Thyra madre sua, questo Harald che conquistò la Danimarca intera e la Norvegia e i danesi fece cristiani”

“Haraltr:kunukr:baþ:kaurua kubl:þausi:aft:kurm faþur sin auk aft:þąurui:muþur:sina:sa haraltr ias:s<ą>r°uan°tanmaurk ala°auk°nuruiak°auk°tani°<karþi°>kristną”

Le rune, grazie anche agli spostamenti continui dei Vichinghi, ebbero una notevole diffusione e arrivarono fino al Vinland (odierno Terranova canadese), in Groenlandia, nelle Isole Britanniche e persino a Costantinopoli. Anche in Italia c’è uno splendido reperto runico, ed è il leone dell’arsenale  di Venezia, forse una spoglia di guerra dei veneziani dopo la Crociata contro Costantinopoli del 1204 e infatti conosciuto come Leone del Pireo. Questa statua presenta sia a destra che a sinistra delle rune incise, si crede da mercenari scandinavi al soldo degli Imperatori Bizantini in quanto narrano delle loro avventure e disavventure.

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