Ragnarok: la serie dano-norvegese dal grande potenziale non sfruttato

Ragnarok

L’abilità di un produttore cinematografico – che sempre più spesso è anche produttore di Serie TV, ormai pari ai prodotti cinematografici per qualità tecnica – sta anche nel saper sfruttare i trend per creare un prodotto commerciale in grado di far gola e interessare il pubblico. Questo vale per “Ragnarok”, un termine tornato alla ribalta negli ultimi anni grazie al film (orrendo) Thor: Ragnarok prodotto da Marvel.

Ma Ragnarok è anche il nome di una serie TV di Netflix, lanciata nella prima stagione di sei episodi a inizio 2020 e che ha avuto un forte successo, grazie a elementi molto vincenti (oltre ad, appunto, il titolo) che hanno saputo attirare l’attenzione. Del resto, il produttore è una garanzia: Ragnarok è stata creata da Adam Price, un nome importante nella produzione scandinava visto che è lo stesso che ha prodotto un successo come Borgen.

Diretta da Mogens Hagedorn, distribuita appunto da Netflix, Ragnarok è una co-produzione danese e norvegese, anche se è ambientata interamente in Norvegia, la lingua originale è il norvegese e il cast è interamente norvegese. Un prodotto pensato prima di tutto per i teenager, conquistati dalla presenza di numerosi attori provenienti da SKAM, che porta la fine del mondo degli dei ai nostri giorni unendo la mitologia alle tematiche dell’attualità.

Ma il risultato, nella prima stagione, non è forse all’altezza delle aspettative. Vediamo perché.

La fine degli dei

Ragnarök (questa una grafia più corretta, anche se non tipica del norreno antico) è il termine che nelle antiche lingue scandinave indica la fine del Valhalla e degli dei. Una cosa da sempre molto affascinante, perché la mitologia nordica si è sempre distinta da un certo pessimismo, rispetto a per esempio quella greco-romana, in quanto anche gli Dei hanno una data di scadenza, possono morire e non sono destinati a durare in eterno.

Odino, che è in grado di vedere il futuro, sa bene quale destino li attende anche se non può fare molto per prevenirlo. Secondo i racconti delle saghe dell’Edda, la fine del Valhalla avverrà in modo davvero brutale, e sarà guidato da Loki, figlio adottivo del Padre degli Dei, a capo di giganti, del lupo Fenrir e di altre creature magiche e mostruose. Un dato interessante, e che d’altro canto riflette il pessimismo di una popolazione che vive in una terra ostile, fredda, soggetta a fenomeni atmosferici violenti e imprevedibili, rispetto alla più calda e “pacata” (almeno nel clima) società mediterranea.

La serie di Adam Price parte proprio da questo punto, e immagina gli dei antichi reincarnati in corpi di giovani moderni, che devono fare i conti con gli Jutul (gioco di parole con Jotul, nome originale) ovvero i giganti che nel tempo sono sopravvissuti, cambiando continuamente identità. Un nuovo scontro, ambientato in epoca moderna, e nascosto dietro la scusa dei temi ambientali.

La trama di Ragnarok

Ragnarok è ambientata nel villaggio immaginario di Edda (in omaggio al poema), nella Norvegia Settentrionale e ultima area del Paese ad aver abbandonato il paganesimo norreno in favore del Cristianesimo. I protagonisti sono Magne e Laurits, figli di Turid, che tornano a vivere a Edda, dove erano nati, in seguito alla morte del padre. 

La madre Turid viene assunta alle industrie Jutul, vero motore economico (e politico) del paese, nonché una delle realtà economiche più importanti del Regno di Harald V. Gli Jutul sono una famiglia potente, che vede il padre a capo dell’azienda e la madre preside della scuola, mentre i due figli frequentano la stessa scuola di Magne e Laurits. 

Ragnarok

I due fratelli, profondamente diversi: introverso, timido, riserbato Magne; spigliato, estroverso e arrogante Laurits. Tutto cambia quando una commessa fa uno strano intervento su Magne, il quale si sente improvvisamente più forte e, soprattutto, non ha più bisogno degli occhiali. Inoltre, percepisce i cambiamenti climatici in arrivo.

I cambiamenti climatici sono il perno attorno a cui ruota tutta la serie: sono loro a creare dibattiti a scuola e in tutta la società di Edda, e a porre sempre al centro dell’attenzione le industrie Jutul, accusate di aver inquinato irrimediabilmente il fiordo di Edda con le loro attività, e di essere responsabili del sempre più rapido scioglimento del ghiacciaio vicino.

Magne trova come unica compagna e sostenitrice delle sue idee Isolde, ragazza anch’essa emarginata a scuola che fa l’attivista e si schiera contro gli Jutul. I due seguono la causa insieme, cercando di addentrarsi pericolosamente nei misteri di Edda. Inoltre, Magne, scoprendo i suoi nuovi poteri, scoprirà sempre di più le origini degli Jutul e la loro ambiguità.

Ragnarok è un po’ problematica

Adam Price vuole quindi rivolgersi ai giovani con un linguaggio semplice e una trama avvincente, cercando però di trasmettere un argomento complesso. Lo fa con un racconto di formazione molto classico e banale, ovvero un ragazzo con problemi a socializzare e che ha subito un trauma forte che trova la sua strada in un nuovo contesto sociale e arriva a un cambiamento importante. A questo si unisce però il racconto della mitologia, e appunto la tematica del rispetto dell’ambiente, scelta furba che segue l’attivismo di Greta Thunberg e l’attivismo dei Fridays For Future.

Il problema è che questo mix di teen drama, mitologia e tematica importante crea una serie che tocca tutto, ma lascia anche tutto in superficie. Nulla è approfondito, e le cose che vengono dette sono sentite più e più volte, con frasi e dialoghi spesso banali e in alcuni casi comportamenti dei personaggi poco credibili, incoerenti, e senza logica. 

Ragnarok

A questo si aggiunge un’altra problematica: la lentezza della serie, e la qualità tecnica. A livello visivo il lavoro è ottimo, merito del fiordo in cui è ambientata e della fotografia che ha saputo valorizzarlo al 100% regalandoci scenari incredibili e mozzafiato. Tuttavia, la magia si perde quando entrano in scena (raramente) gli effetti visivi, come per esempio i fulmini scagliati, spesso inconsapevolmente, da Magne: sono poco credibili, finti, gommosi e danno un effetto un po’ trash a una serie che invece punta in alto.

Anche il ritmo manca, soprattutto nei primi episodi. In generale, la tendenza delle ultime serie di Netflix è quella di creare episodi introduttivi che però invece di catturare l’attenzione, fanno addormentare. In Ragnarok tutto è aggravato perché non c’è praticamente nessun Ragnarok: gli scontri tra gli dei sono rari, spostati per lo più agli ultimi episodi, e non riescono comunque a rilanciare il ritmo di un prodotto che si perde troppo spesso in discorsi retorici ridondanti e – diciamolo – anche poco necessari.

I momenti divertenti, che ci sono, sono pochi, e ancor meno sono i momenti action (che invece ci aspetteremmo, in una serie fantasy), i quali oltre ad essere rari sono anche velocissimi. A questo si aggiungono poi i personaggi incredibilmente piatti: sono scritti quasi a livello macchiettistico, poco approfondito. Degli stessi protagonisti sappiamo poco o nulla, e questo ci fa pensare – visto l’arrivo imminente della seconda stagione – che sia la trama che gli stessi personaggi saranno più approfonditi e si spera avvincenti in futuro.

Insomma, Ragnarok è un prodotto che va bene per distrarsi, per chi cerca qualcosa che non impegni troppo. Questo, s’intende, al contrario del suo obiettivo, che invece è quello di essere un prodotto impegnato. Si salvano, come detto, la fotografia, e la buona recitazione degli attori. Speriamo in un miglioramento nella seconda stagione, stagione che porti un po’ di pepe in più e che soprattutto ci porti uno scontro più serio e avvincente tra dei e giganti.

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