Evoluzione della Costituzione danese: da assolutismo a monarchia parlamentare

Copyright: Mikkel Grønlund

La Danimarca è uno degli Stati con una tradizione costituzionale più antica. Il suo assetto istituzionale, garantito dalla Costituzione della Danimarca, ha influenzato gli altri Paesi nordici occidentali e infatti molte similitudini possono trovarsi con Norvegia e Islanda.

Il suo nome ufficiale è Regno di Danimarca, in danese Kongeriget Danmark, ha una Costituzione scritta ed è considerata una delle democrazie più efficienti al mondo, ma il suo assetto costituzionale è frutto di un’evoluzione continua durata secoli.

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Origini e passaggio alla monarchia costituzionale

La prima forma di Costituzione danese può essere fatta risalire al 1665, anno in cui venne introdotta la Kongeloven (letteralmente, “la legge del Re”), nota anche come Danish Royal Act. Questa legge metteva fine alla tradizionale forma elettiva della corona danese e conferiva al Monarca il potere assoluto esecutivo e legislativo. Per la prima volta, però, veniva anche introdotto un limite al suo potere: la Kongeloven stessa, concepita come legge fondamentale del Regno, perpetua e non modificabile, neanche dal sovrano.

La fine definitiva dell’assolutismo arrivò nel 1848 con la pacifica Rivoluzione di marzo. Nonostante la clausola di eternità del Danish Royal Act (perpetuo e non modificabile), Federico VII (1808-1863) concesse una nuova Costituzione che entrò in vigore l’anno successivo. Il nuovo testo, ispirato anche dalla Costituzione norvegese del 1814,  introduceva ufficialmente una monarchia costituzionale, con il potere legislativo che veniva condiviso tra il Monarca e il Parlamento bicamerale (Folketing in danese).

La Costituzione firmata da Federico VII nel 1849

Sviluppo dell’ordinamento costituzionale

La nuova Costituzione di Federico VII ha stabilito l’ordine costituzionale che in continuità si è evoluto fino alla situazione attuale. Si introduceva, infatti, anche la possibilità di modificare il testo costituzionale attraverso la decisione del Parlamento.

La procedura di emendamento era particolarmente lunga e difficile. Prevedeva che la stessa proposta di modifica fosse approvata da entrambi i rami del Parlamento in tre susseguenti legislature, intervallate quindi da due elezioni generali.

Nel 1915 la procedura è stata semplificata, sostituendo il voto della terza legislatura con un referendum, ma nonostante questo la Costituzione danese resta particolarmente rigida e difficile da modificare. Nessuna modifica è stata fatta dopo il 1953, quando è entrato in vigore l’attuale Constitutional Act della Danimarca che ha reso il Parlamento unicamerale.

Evoluzione nelle prassi

Il testo della Costituzione della Danimarca non è più stato modificato dopo il 1953, ma l’assetto istituzionale e politico danese ha continuato ad evolversi negli anni. Semplicemente a causa della rigidità formale della Costituzione l’ordinamento danese si è evoluto nella prassi, senza che i cambiamenti fossero riportati anche nel testo.

Leggendo la Costituzione danese si potrebbe erroneamente pensare che il Re o la Regina abbiano un ruolo politico attivo e con molti poteri. Troviamo scritto all’art. 2 che la forma di governo è una monarchia costituzionale, mentre l’art. 3 dispone che Re e Folketing condividano il potere legislativo e sempre al Re spetti il potere esecutivo. Secondo l’art.12 è il Re ad avere la suprema autorità su tutti gli affari del regno esercitata tramite i Ministri, i quali egli può nominare e rimuovere (art. 14).

Amalienborg, la residenza della Regina a Copenaghen. Foto di @rixasala //@noglen.eu

In realtà il ruolo del monarca è ormai solamente formale e bisogna leggere gli articoli sopra menzionati (gli articoli 3, 12, 14) sostituendo il soggetto con il Governo guidato dal Primo ministro, che è nella prassi il reale detentore di questi poteri. Il Monarca è una figura simbolica con compiti per lo più cerimoniali, ma che comunque gode ancora di molta popolarità tra i Danesi.

L’attuale famiglia reale danese

La Regina ha il compito, ad esempio, di nominare il nuovo Governo dopo le elezioni del Folketing (il Parlamento), ma è un’investitura puramente formale visto che sono la situazione parlamentare risultante dalle elezioni e gli accordi tra partiti che determinano quale sarà il governo.

Il fatto che le attuali norme non siano scritte e siano definite dalla prassi non le rende meno valide o inefficaci. Può essere difficile da comprendere se si è abituati alla concezione tipica dei Paesi come Italia, Francia e Germania detti di civil law, per cui è solitamente necessario mettere tutto per iscritto affinché abbia valore legale e sia vincolante, ma anche le prassi possono avere la forza di una norma, anche costituzionale.

La democrazia parlamentare danese

Christiansborg a Copenaghen, la sede del Parlamento // Foto di @rixasala //@noglen.eu

La Danimarca oggi è una democrazia che funziona come una monarchia parlamentare, cioè è il Parlamento il reale perno delle istituzioni, detentore del potere e il Governo si forma secondo gli equilibri politici tra i partiti presenti nel Folketing.

Tutto questo non si trova nel testo della Costituzione, ma è la prassi politica che ha affermato i principi del parlamentarismo, formando così delle convenzioni costituzionali che rendono possibile definire il Regno di Danimarca una monarchia parlamentare.

L’aula del Parlamento all’interno di Christiansborg

Il parlamentarismo che si è affermato è di tipo negativo, per cui il Governo guidato dal Primo ministro ha un rapporto di fiducia con il Parlamento che non si manifesta in modo palese con un voto di investitura iniziale, come ad esempio avviene in Italia, ma si presume tacitamente dalla tolleranza e dal non voto sfiducia durante il suo operato.

Tradizionalmente questo ha portato spesso alla formazione di governi di minoranza, cioè composti da partiti che non hanno la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Questa tradizione permette o rende necessario al Governo sviluppare forme di collaborazione anche con altri partiti fuori dalla compagine di governo. Per risolvere eventuali impasse o situazioni problematiche, magari dovute proprio alla difficoltà del trovare accordi con altri, il Governo può sciogliere il Parlamento e convocare nuove elezioni.

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