Il colonialismo scandinavo è esistito e non va dimenticato

Colonialismo scandinavo

In pochi sanno dell’esistenza del colonialismo scandinavo. Quando si parla di potenze coloniali, infatti, ci si riferisce agli enormi imperi di Spagna, Francia, Regno Unito, ma anche Paesi Bassi e Italia.


Eppure, sia la Svezia che soprattutto la Danimarca hanno un passato coloniale, con piccoli possedimenti in America, Africa e Asia, oltre che nel resto del Nord Europa, la cui eredità è ben visibile. In questo articolo, cercheremo di ripercorrere i passi del colonialismo scandinavo, e anche di capire perché se ne sa così poco.

Breve parentesi: l’Impero del Mare del Nord

Prima di addentrarci, è bene citare anche quello che oggi è noto come l’Impero del mare del Nord, o Impero anglo-scandinavo. Termine postumo, in quanto i Re danesi interessati non si fecero mai chiamare imperatori, ma certo una forma di espansionismo che partì dalla Danimarca (che ai tempi comprendeva anche Scania e Götaland, oggi in Svezia) e riunì come Unione personale anche l’Inghilterra e parte della Norvegia. Non si può quindi definire colonialismo in senso stretto, o come lo intendiamo oggi, ma certo ci fu una volontà di espandersi e conquistare nuovi territori.

L’Unione fu creata da Sweyn I di Danimarca, detto Sweyn Barbaforcuta (Sveinn Tjúguskegg) nel 1013, ma fu il figlio Canuto Il Grande a consolidarla e a darle il massimo potere. In totale, l’espansione danese nel Mare del Nord durò una trentina di anni, fino alla morte di Canuto. Si trattava di una talassocrazia, un impero marittimo, quasi unico nella storia medievale europea e che rese il mare del Nord una sorta di autostrada che collegava le tre zone che lo componevano.

Il suo fondatore, Sweyn I, era già re di Danimarca dal 986 d.C. dopo aver guidato una rivolta contro il padre Harald Dente Azzurro, lo stesso che ha ispirato la tecnologia Bluetooth. Subito dopo, sfruttando i punti d’appoggio in Norvegia che il padre aveva già stabilito, Sweyn estese il controllo sul territorio con la forza e alleandosi con alcuni membri della nobiltà norvegese, dividendo la zona.

Infine, nel primo decennio dell’XI secolo, Barbaforcuta si diresse in Inghilterra, razziandola e conquistandola nel 1012 con una marcia su Londra. A Natale 1013, Sweyn fu incoronato Re d’Inghilterra e morì 5 settimane dopo, lasciando spazio a Canuto il Grande che, dopo aver dovuto riprendersi il trono a causa di Edmund Ironside, figlio del Re Etelredo d’Inghilterra deposto dal Sweyn, fu incoronato Re del paese nel 1017. Dopo la morte del fratello, Harald II di Danimarca, Canuto ottenne anche i troni scandinavi.

A Canuto si deve l’espansione più grande della Danimarca nel mare del Nord: guidò una marcia in Scozia, e conquistò le isole Orcadi, Shetland e Fær Øer; alleandosi poi con la Normandia e le popolazioni  polacche e rendendo la talassocrazia scandinava la seconda più importante entità politica dopo il Sacro Romano Impero. Sfortunatamente, però, la struttura era debole e l’impero si sgretolò nel 1035, alla morte di Canuto.

In Norvegia, infatti, la nobiltà proclamò Re Magnus Olafsson, figlio del re assassinato Olaf. In Danmarca, il figlio di Canuto, Harthacnut, fu proclamato Re di Danimarca e Inghilterra, ma dopo la sua morte, anche gli ultimi rimasugli dell’impero del mare del Nord scomparvero e le due sponde del mare presero direzioni diverse.

L’Unione di Kalmar e l’inizio del colonialismo danese

Quando si parla di colonialismo scandinavo, ci si  riferisce a Danimarca e Svezia, le due sole potenze del Nord in età moderna, considerando che tutto il resto era parte o di una o dell’altra. E, delle due, la Danimarca ha avuto un’impronta maggiore.

Scandinavia
L’Unione di Kalmar

Il colonialismo danese è infatti prima di tutto europeo e nordamericano, e vede il suo prologo con l’Unione di Kalmar. Non staremo qui a parlarne approfonditamente, perché abbiamo scritto un articolo dedicato. Comunque, grazie a Margherita I per circa 200 anni quella che era a livello teorico un’unione personale e alla pari tra tre regni, vide la Danimarca e Copenhagen alla guida di tutto il Nord Europa e della Groenlandia.

Statua di Margherita I di Danimarca

Finita l’Unione a causa dell’indipendenza svedese, nacque il Regno di Danimarca-Norvegia, che comprendeva anche Islanda, Fær Øer e Groenlandia (di cui si persero i contatti nel XV secolo, per ristabilirli nel XVIII). La Norvegia teoricamente aveva valenza pari alla Danimarca, visto che era un Regno, ma nei fatti era una provincia, importante a livello strategico e quindi meglio considerata delle altre, sulle quali la Danimarca impose anche il dominio dei suoi commerci. Gli islandesi, per esempio, potevano comprare e vendere solo alla madrepatria.

Il colonialismo in Groenlandia

Con la Groenlandia le cose sono andate in modo leggermente diverso. I danesi capirono presto la difficoltà di controllare gli Inuit in una regione enorme e ostica come quella. Per cui, in particolare dalla fine del XVIII secolo, quando ormai i contatti erano stati ripresi, si sviluppò una sorta di colonialismo tutelare. I danesi, cioè, si posero come deguardiani di un popolo vulnerabile che non dovesse essere esposto troppo in fretta ai vizi moderni. La versione danese della “missione civilizzatrice” usata da spagnoli, francesi e inglesi per altre zone, e che effettivamente isolò la Groenlandia per lungo tempo dal resto del mondo.

Fu negli anni della Seconda Guerra Mondiale, dal 1930, che le élite moderniste groenlandesi misero in discussione questa politica. La Groenlandia venne occupata dalle truppe americane approfittando dell’invasione tedesca della Danimarca, e gli statunitensi portarono con loro Jeep, coca cola e musica moderna, distruggendo di fatto quel colonialismo tutelare.


Per questo, e per non perdere l’isola, la Danimarca si affrettò a partire dal dopoguerra a cambiare tutto. Rese la Groenlandia una contea, che comportava anche la rappresentanza in parlamento, e attuò un enorme piano di ammodernamento del paese, modernizzando l’industria, concentrando la popolazione in insediamenti più grandi ed espandendo sanità e scuola. Non senza nuove problematiche.

Per esempio, si dava priorità alla lingua danese. E, inoltre, la politica perseguita comportava stipendi più alti ai dipendenti pubblici nati in Danimarca, ed era quindi minacciosa per la cultura inuit. Anche per questo, a partire dal 1970 si è parlato di neo-colonialismo danese nei confronti della Groenlandia. Oggi la situazione è molto migliorata, e la Danimarca si è anche scusata per gli orrori degli esperimenti sui bambini inuit sottratti alle loro famiglie.

Ma non manca ancora una certa forma di razzismo nei confronti dei nativi dell’isola nordamericana. Per esempio, nel 2013 in Groenlandia ci fu il tentativo di stabilire una commissione di riconciliazione, chiamato forsoningskommission, che vedesse la partecipazione di entrambi le parti. Ma l’allora primo ministro danese, Helle Thorning-Schmidt, declinò l’invito dichiarando che non ce ne fosse bisogno. Schmidt, prima donna a ricoprire la più alta carica danese, dopo quella della Regina, ha ispirato il personaggio di Birgitte Nyborg nella serie Borgen, e anche questo fatto è stato ripreso nella quarta stagione della serie.

Tutt’altro discorso, poi, quello dei Sami, le popolazioni autoctone della Lapponia, per cui qui non c’è tempo di discutere, ma che abbiamo in parte affrontato in un altro articolo.

Il colonialismo nelle Americhe, in Africa e in Asia

Il Regno di Danimarca-Norvegia decise di espandere la sua politica coloniale con un monarca molto noto e ambizioso: Cristiano IV, lo stesso che in patria ha rivoluzionato l’assetto di Copenhagen, Oslo (che da lui venne ribattezzata Christiania), e che fondò città con il suo nome. Il re, inoltre, voleva competere principalmente con gli olandesi.

Cristiano IV di Danimarca

Nel 1618 inviò una spedizione a Ceylon, l’odierno Sri Lanka, per allearsi con il Rajah di Kandy, fallendo. La spedizione però ottenne un altro risultato, ovvero un accordo con il regno indù di Thanajvur nell’India sud-orientale, con un forte commerciale a Tharangambadi chiamato Tranquebar (Dansborg). Da qui, si commerciavano tessuti di pepe e cotone,  i commercianti sia danesi che indiani avevano affari in tutta la regione grazie al Golgo del Bengala. Dal 1755, la Danimarca-Norvegia si espanse anche in India, con l’insediamento di Frederiksnagore a Calcutta e provando, senza mai riuscirci, a colonizzare le isole Nicobare.

Dansborg

Dall’India, la Danimarca commerciava anche con la Cina, dalla quale portava in patria il tè, uno dei suoi commerci più fruttuosi.

Nella seconda metà del Seicento, invece, la Danimarca-Norvegia iniziò il suo colonialismo nell’Atlantico. Fondò alcuni forti commerciali sulla Costa d’Oro a partire dal 1659, in parte sottraendoli alla Svezia. Erano i tempi della Costa d’Oro danese, che oggi ha come lascito il palazzo di Christiansborg ad Accra, omonimo nel nome al palazzo del parlamento danese di Copenhagen.

Christiansborg, ad Accra

Qui, i momenti più bui: inizialmente i coloni danesi erano interessati a oro e avorio, ma dai primi del Settecento anche la Danimarca-Norvegia entrò nel giro della tratta degli schiavi, che nell’Atlantico divenne il suo tipo di commercio dominante. Gli schiavi trasportati su navi danesi dal 1660 al 1803 furono più di 110.000, il 2% di tutto il commercio di schiavi in quel periodo.

La destinazione era ovviamente l’altra sponda dell’Atlantico, dove la Danimarca aveva inizialmente le isole St. Thomas e St. John e, in seguito, anche l’isola di St. Croix, che prese dalla Francia nel 1733. Quest’ultima, più grande delle prime due messe insieme, era più adatta alla coltivazione dello zucchero, ed era a questo che servivano gli schiavi africani.

Solo nel 1792, di fronte alle continue perdite economiche e in parte influenzata da idee illuministe e umanistiche, la Danimarca-Norvegia approvò una legge che vietasse la tratta degli schiavi, che divenne effettiva 11 anni dopo, nel 1803. Ma la schiavitù sulle isole danesi continuò fino al 1848, quando il governatore dichiarò l’emancipazione di tutta la popolazione.

La fine, o quasi, del colonialismo danese

Il sistema coloniale danese, almeno quello fuori da Europa e Nord America, finì nel 1814, quando la Danimarca subì pesanti sconfitte durante le guerre napoleoniche. In quell’anno, il re danese dovette cedere la Norvegia alla Svezia, perdendo definitivamente anche lo status di media potenza europea.

Dal momento che il colonialismo danese d’oltremare era puramente di tipo economico, divenne eccessivamente costoso per uno Stato ora molto piccolo da gestire, e per questo se ne separò. Le colonie asiatiche e africane furono vendute al Regno Unito nel 1845 e nel 1850. Le tre isole caraibiche furono vendute agli USA nel 1917, e divennero le Isole Vergini Americane.

Come detto, però, rimasero tutti gli altri territori europei ad eccezione della Norvegia. L’Islanda divenne indipendente nel 1944, sempre dopo l’occupazione degli alleati. Le altre sono oggi parte più  paritaria del Kongeriget Danmark, anche se godono di poca autonomia in termini di affari esteri e finanza: la corona danese è moneta anche di Faroe e Groenlandia, così come il danese si studia ed è lingua ufficiale.

L’impero svedese

L’altra faccia del colonialismo scandinavo è quello svedese, di dimensioni ben più ridotte, e meno duraturo di quello danese.

Divenuta indipendente dalla Kalmarunionen grazie a Gustavo Vasa, la rinata Svezia crebbe vertiginosamente e fu l’unico dei paesi nordici ad essere mai annoverato tra le potenze militari. Crescita tutta a discapito della Danimarca-Norvegia, alla quale sottrasse la Scania e altri territori (per un periodo anche il Trondelag, in Norvegia), e consolidata durante la Grande Guerra del Nord e la Guerra dei Trent’anni.

L’apice di questo splendore, che portò a un espansionismo di tipo imperialista, si ha tra il 1611 e il 1721. Il glorioso Seicento svedese, quello che in Svezia si chiama Stormaktstiden (l’età della grande potenza) e che è conosciuto anche come Impero svedese, seppur nei fatti i sovrani di Svezia non assunsero mai il titolo imperiale.

Oltre alla storica provincia della Finlandia, che sarà poi persa nel Settecento e presa dalla Russia, l’Impero svedese riuscì ad espandersi anche in Estonia e Lettonia, alcune zone baltiche della Polonia e della Prussia.

Fu in questo stesso periodo, che coincise anche con la fondazione della città di Göteborg, che i sovrani svedesi vollero equipararsi a quelli delle grandi potenze europee anche in ambito coloniale. Nel 1637, dopo che dieci anni prima fu fondata la SöderkompanietNya Sverige-kompaniet (la compagnia del Sud), dal porto di Göteborg salpò la prima spedizione svedese nelle Americhe, che arrivò e navigò nella baia di Delaware e, nei pressi di Wilmington, costruirono Fort Christina, primo segno della loro presenza.

Era l’inizio della Nuova Svezia, che negli anni seguenti fu raggiunta da svedesi, finlandesi, olandesi, tedeschi e anche qualche danese. La Nuova Svezia (Nya Sverige) si sviluppò tutta lungo il fiume Delaware, attraverso gli odierni stati di New Jersey, Maryland, Pennsylvania e Delaware. Furono fondati anche altri insediamenti, tra cui Fort Nya Göteborg e Nya Elfsborg.

Tuttavia, durò molto poco. La Svezia, forte dei suoi successi, diede inizio alla Seconda guerra del Nord attaccando la Confederazione polacco-lituana, con la conseguenza che gli olandesi ne approfittarono per conquistare la Nuova Svezia, persa definitivamente nel 1655. Nel 1669 fu nuovamente persa anche dagli olandesi, e passò sotto al dominio britannico.

L’unico altro grande tentativo di colonialismo fu in Africa, con la Costa d’oro svedese. Anche in questo caso, durò poco: presa dalla Danimarca e dall’Olanda nel 1650, fu rincoquistata dalla prima 13 anni dopo, nel 1663. Oltre a loro, dal 1784 ebbe anche l’isola caraibica di Saint-Barthélemy, la cui capitale si chiama ancora oggi Gustavia in onore di Gustavo III, e che fu venduta alla Francia nel 1878 e fu probabilmente la più duratura.

Per circa un anno, infine, la Svezia “rubò” Guadalupa” alla Francia, a cui ritornò nel 1814. In Asia, invece, è stato svedese l’insediamento indiano di Parangipettai.

L’eredità del colonialismo scandinavo

Oscurato dagli enormi imperi coloniali di Regno Unito e Francia, il colonialismo scandinavo può essere facilmente sottovalutato, e persino dimenticato. Cosa che è stata fatta a partire dagli stessi paesi scandinavi, che hanno alimentato l’equivoco contribuendo a dare l’immagine moderna di paesi neutrali.

Ma, soprattutto in Africa, non è mancato quel brutalismo figlio della stessa mentalità che caratterizzava le potenze europee, qui fermata da risorse minori e povertà maggiore. Solo di recente, a partire dal 2017, con la commemorazione della vendita delle Isole Vergini Americane, in Danimarca si è iniziato a ricordare ai danesi il loro passato coloniale che, seppur su scala minore, non divergeva da quello delle altre potenze.

Un esempio è la stesura della collana in 5 volumi Danmark og kolonierne, realizzata da 29 accademici. O con la nascita di progetti di ricerca anche di ambito artistico del periodo coloniale danese. In ogni caso, il colonialismo scandinavo è esistito, e la sua esistenza per quanto brutale non va dimenticata perché anche lei è servita a rendere la Scandinavia la regione che è oggi, non priva ancora di atteggiamenti di superiorità verso Inuit in Groenlandia, e Sami nella Norvegia e Svezia del Nord.

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