È disponibile da oggi, 28 gennaio 2022 “Mother“, il quinto album degli Highasakite, gruppo pop norvegese salito alla ribalta in Scandinavia negli ultimi anni, e ora pronto anche a farsi conoscere nel resto d’Europa (ci piace un po’ pensare di esserne traghettatori). Pubblico e fan hanno già avuto modo di gustarne un assaggio con la title track, Mother appunto, singolo uscito a metà gennaio, mentre io ho avuto il piacere e il privilegio di poterlo ascoltare in anteprima nelle scorse settimane.
Il lavoro è, come detto dallo stesso duo, quello più personale di tutta la loro carriera artistica, e affronta numerosi temi che vanno dall’intero arco emotivo di una relazione, dell’amore al tema materno. Ingrid Håvik, vocalist degli Highasakite, affronta in modo completo il tema della sua maternità, della sua visione di essere madre – suggellata anche dalla nascita del suo secondo figlio.
Mother degli Highasakite è un’opera musicale molto particolare, che contiene tutto ciò che si ama della musica norvegese: la capacità di riutilizzare suoni delle tradizioni uniti al strumenti moderni, tanta elettronica. E, anche se l’anno è appena iniziato, non nego che lo considero una delle cose più belle che ho ascoltato in questo 2022.
Chi sono gli Highasakite?
Facciamo una breve sintesi sugli Highasakite. Si tratta di un gruppo indie pop-rock composto dai norvegesi Ingrid Helene Håvik, cantante e autrice dei testi, e Trond Bersu, batterista e percussionista. I due si sono conosciuti al Trondheim Jazz Conservatory, nel 2010, e hanno iniziato una relazione. Dopo soli sei mesi, hanno iniziato a lavorare al loro album di debutto, All The Floats Will Rain, pubblicato nel 2012 in Norvegia. Insieme a loro, hanno lavorato anche Thomas Dahl, produttore che li aiutava con basso e chitarra, e Øystein Skar, per il sintetizzatore. All The Floats Will Rain riuscì subito a raggiungere la posizione numero 15 nella Norwegian Albums Chart, e grazie a questo successo gli Highasakite poterono subito iniziare a suonare live. Nel corso del 2021, parteciparono a numerosi festival, tra cui l’Øyafestivalen e gli Iceland Airwaves.
“Mi illudevo di essere più pretenziosa di quanto non lo sia in realtà” dice Ingrid Håvik ridendo sulle sue ambizioni jazz, in seguito alle quali ha però capito che era l‘inpop il genere che le permetteva di esprimere al meglio se stessa.
I risultati raggiunti portarono gli Highasakite a lavorare con il produttore Kåre Christoffer Vestrheim, per registrare il loro primo, vero LP: Silent Treatmen, pubblicato nel febbraio del 2014. La seconda opera raggiunse la posizione numero 1 della Norwegian Albums Chart. Il successo fu tale da essere nominato il secondo miglior album dell’album dalla critica musicale norvegese in una classifica pubblicata dal Dagsavisen. Insieme al nuovo album, gli Highasakite andarono in tour europeo con la band islandese Of Monsters and Men. Nel 2015, gli Highasakite vinsero il 14esimo Annual Independent Music Award nella categoria “Pop Album” con Silent Treatment.
Il 20 Maggio 2016 è la volta di Camp Echo, terzo album del gruppo anticipato dal singolo Someone Who’ll Get It, che ha ricevuto un plauso generale da tutta la critica alzando notevolmente le aspettative per il nuovo lavoro: alla fine dell’anno, infatti, il singolo contava oltre 5.260.000 riproduzioni su Spotify. Nel 2016, inoltre, continuano i riconoscimenti: hanno infatti il privilegio di suonare due dei loro singoli al Nobel Peace Prize Concert 2016, tenuto l’11 dicembre, insieme ad artisti di grande calibro come Sting e Halsey.
A febbraio 2019 è la volta di Uranium Heart, quarto album in studio per la prima volta interamente prodotto da Trond Bersu, e contenente tutte canzoni scritte dalla Håvik. All’album seguì un nuovo tour, con tutte le date sold out. Nell’ottobre del 2019 gli Highasakite pubblicano la prima parte del mini-album The Bare Romantic, con il singolo Can I Be Forgiven. La seconda parte viene rilasciata il 7 febbraio 2020, contenente il singolo Under The Sun scelto come parte della soundtrack del film norvegese Tunnelen. Sempre a febbraio 2020, gli Highasakite sono stati nominati per il titolo di “Pop Group of the year” allo Spellemannprisen, ovvero i Grammy Awards norvegesi.
Nella loro musica si nota un’evoluzione costante della sonorità e dei temi affrontati, di pari passo al loro crescere prima di tutto come persone. Ecco perché Mother, l’ultima fatica, si può considerare il loro album più maturo.
Mother
Veniamo quindi all’album Mother. Gran parte dell’album è stato scritto prima dello scoppio della pandemia di Covid-19, e terminato durante il lockdown a Oslo, venendo registrato nello studio che gli Highasakite hanno vicino alla Stazione centrale della Capitale. Mother, dice Håvik, è un album sulla nascita e sulla morte, sul ciclo di rinascita e distruzione, una figura che non è gentile e affettuosa come siamo abituati nell’immaginario, ma più – oso – leopardiana. “Penso che ci siano tre canzoni molto importanti in Mother: la prima, ‘Autopsy’ e l’ultima. La prima rappresenta l’inizio, la seconda il punto più basso e la terza la rinascita di una relazione” – mi rivela Håvik. “La madre che io descrivo è più come una tarantola, una nave madre, un distruttore e un creatore. Questo è ciò che il concetto di “Madre” rappresenta per me”.
I concetti espressi si ritrovano tutti nel singolo che dà il nome all’album, che sembra una classica canzone pop rilassante ma è nel testo che va cercata questa sensazione sinistra, di oscurità appena indicata. Nel ritornello infatti Håvik grida “I need to call my mother / hey hey hey / tell her I’m scared of the thunder“. Una figura che si “intromette” continuamente nella musica e può far leva sul tuo fisico, scattare le sinapsi, bloccarti in uno stato di trance.
“Penso che sia un album molto dinamico e che contenga molti stili diversi al suo interno” – mi racconta Trond Bersu – “Ma ha anche questo tema di ‘oscurità’. Secondo me è bello il fatto che abbiamo affrontato questi temi in modi molto diversi, aggiungendo elementi orchestrali alla musica pop. Mi piace pensare che diamo modo a persone che fruiscono la musica pop di sentire anche qualcosa che normalmente non ascoltano“.
Tutto l’album, come detto, è sentito e personale. A partire dalla prima traccia, I Just Moved here che guarda al passato ed esprime i sentimenti che si provano all’inizio di una nuova storia d’amore, e della scoperta. La canzone è dedicata al compagno di Håvik, originario di Oslo il quale le ha mostrato un lato nuovo di una città che lei credeva di conoscere. Proprio come, all’inizio di una relazione, è tutto una scoperta. Anche quando inizi una relazione con una persona che credi di conoscere da tempo.
Al contrario, Keep It Alive e il suo sound squisitamente anni Ottanta sfrutta delle metafore per mantenere viva una relazione, come per esempio il “darle un po’ di acqua” o, nei casi più gravi, una trasfusione di sangue. Siamo già a un altro stadio della storia d’amore, ora giunta quasi al suo crepuscolo.
Una delle canzoni che ho più apprezzato, soprattutto a livello musicale, è Tell Her Yourself, che comincia ad affrontare la fine della relazione. “I thought I was in Eden / I won’t go there” esordisce il brano, andando poi a sottolineare in modo ripetuto e costante “You’re not my man”. Si affronta qui il tema del non detto, dell’essere ormai estranei (“Tell her your damn self” dice insistente il ritornello della canzone), che viene ripreso anche nella successiva So Cold. Quest’ultima infatti racconta il modo in cui ci demonizziamo a vicenda nelle relazioni, ci congeliamo, vedendo sempre della manipolazione nei comportamenti dell’altro.
La mia preferita è però Autopsy, che con i suoi 9:53 minuti è la più lunga di tutto Mother (ma io sono un fan di queste canzoni complesse, vedi Venice Bitch di Lana Del Rey). Mi ha però sorpreso sapere, da parte degli stessi Håvik e Bersu, che Autopsy ha colpito un po’ tutti. “Sembra che molti si siano immedesimati in Autopsy, il che è davvero strano: penso che le persone abbiano colto questa onda nostalgica dei primi anni Novanta-anni 2000, e che vogliano essere trascinati in questa oscurità, in questo suono per dieci minuti, ed è davvero curioso perché di solito il pubblico vuole ascoltare brani da due minuti e mezzo, tre, non di più!” – continua Bersu.
Ci sono in effetti alcuni elementi strutturali che mi hanno ricordato Venice Bitch della cantante newyorkese, a partire dalla netta divisione tra una prima parte cantata, e una seconda solo strumentale. Qui, però, rispetto a Del Rey, l’elemento techno ed elettropop è nettamente più presente. Autopsy è una canzone decisamente introspettiva, e per questo, credo un brano in cui tutti possano riconoscersi. Anche perché è in grado di colpirti fin dalla prima riga della prima strofa: “I’m unidentified”. Questa sensazione di non avere certezza della propria persona ritorna in tutte le prime righe: seguono infatti “I’m so mysterious” nella seconda, e “I’m so ambiguous” nella quinta. Autopsy è una “fantasia Frankenstiniana“, nella quale c’è un innamorato morto e l’altro che, ignaro, procede alla cieca cercando di riattivarlo. Ed è tutto un doppio gioco: da una parte il tema del mistero, della morte; dall’altra quello dell’esplosione, della dinamite (altra parola ricorrente), che simboleggia la pulsazione. “L’ultima risorsa“, di qualcosa che ormai è finito, e che non c’è più, che lentamente si spegne e confluisce nella seconda parte strumentale, che richiama il synth dei primi anni Novanta.
Al tornado di Autopsy si contrappone la traccia finale, Can I Come Home, una canzone delicata, in risposta alla timida canzone di apertura. Can I Come Home è quell’espressione del “re-iniziare”, di quel continuo “rinascere e distruggere” detto sopra, e rappresenta infatti la reinvenzione della relazione, recuperata dopo il grosso incidente. Håvik qui si muove in un crescendo di archi vocali, ispirato alle colonne sonore di Max Richter e anticipa la spettacolarità del tour al quale gli Highasakite sono al lavoro da due anni.
Gli Highasakite e la Norvegia
Mother è quindi un album completamente diverso rispetto agli altri lavori degli Highasakite, completamente nuovo. “Gli altri lavori erano molto più acustici, questo non lo so, è molto più tagliente. È qualcosa che prima di tutto piace a noi: penso che sia importante non solo accontentare gli altri, ma soprattutto accontentare noi stessi in quello che facciamo ed esprimiamo. Cerchiamo sempre di espandere i nostri orizzonti“.
In tutto l’album, però, quello che non manca mai è la Norvegia. I temi affrontati, i suoni, la capacità di unire tradizione con elementi moderni, il tema del freddo (qui relazionale), rendono Mother e gli Highasakite squisitamente norvegesi. “Penso che essere musicisti in Norvegia ci renda molto fortunati” – dice ancora Håvik – “Abbiamo tanti fondi che ci aiutano a creare la nostra musica e a registrare le canzoni. È un luogo davvero fortunato, nel quale i musicisti e gli artisti hanno tante possibilità di crescere e affermarsi, di fare musica che non sia necessariamente commerciale. Puoi prenderti anche rischi molto alti in questo senso, anche perché il modo in cui è strutturata la nostra società lo permette. Lo ripeto, siamo molto fortunati: abbiamo tanto tempo libero per dedicarci alla musica” – continua Håvik.
“Ci sono tanti artisti che uniscono suoni popolari norvegesi alla musica pop moderna” – aggiunge Trond Bersu, al mio elogiare questi elementi nel loro lavoro. “Immagino che non faremmo questo tipo di musica se venissimo, per esempio, dagli Stati Uniti“.
Il tour
Abbiamo anticipato che Can I Come Home anticipa, con la sua teatralità e spettacolarità, il tour dell’album. Il concerto è infatti un vero e proprio spettacolo, che riproduce visivamente il ciclo raccontato da “Mother”: nascita, distruzione e rinascita, con avatar appositamente creati dal gruppo. “Mother è più grande di un album. Voglio solo dimostrare a tutti che possiamo fare quello che vogliamo” conclude la frontwoman degli Highasakite.
ll tour comincerà il 20 Aprile 2022 allo Store VEGA di Copenhagen, in Danimarca. Seguiranno poi:
- Kesselhaus, Berlino (Germania) – 22 Aprile 2022;
- O2 Academy Islington, Londra (UK) – 27 Aprile 2022;
- Nalen Stora Salen, Stoccolma (Svezia) – 2 Maggio 2022;
- Pustervick, Göteborg (Svezia) – 3 Maggio 2022;
- NEON Festival, Trondheim (Norvegia) – 11 Giugno 2022;
- Fornebu Music & Arts Festival, Oslo (Norvegia) – 17 Giugno 2022;
- Skral Festival, Grimstad (Norvegia) – 5 Luglio 2022;
- Bergenhus Festning, Bergen (Norvegia) – 26 Agosto 2022;